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STORIA DELLA BOXE


Dall’antica Grecia a Mike Tyson


Qualsiasi sport, se praticato con passione e dedizione ha molto da insegnare. Si tratta innanzitutto di portare al massimo le proprie capacità, sfuttare tutte le energie del corpo, dell’ambiente circostante e quelle dell’avversario, quando c’è. Si impara ad essere al cento per cento concentrati sui propri movimenti, compresa la respirazione, fondendo totalmente il corpo con la mente per raggiungere l’obiettivo. Corpo, mente ed emozioni diventano tutt’uno, in un esercizio insostituibile, paragonabile solo alla meditazione ad alto livello, e quindi fondamentale in tempi come i nostri dove si è in qualche modo costretti a reprimere le emozioni per sopravvivere alla vita di tutti i giorni, salvo sfogare l’emotività in scatti improvvisi ed incontrollati, o a manifestarla nella sua forma più superficiale e banalizzante.
Detto questo, poche forme di attività sportiva godono della stessa immediatezza comunicativa del pugilato. La Lotta, nella sua espressione più grezza ed elementare è capace di suscitare empatia e di emozionare lo spettatore. Chi disdegna la violenza anche in questa forma ludica ne rimane profondamente infastidito, ma il gioco è proprio quello di mettere in scena azioni connaturate nell’essere umano e nel suo istinto, affinando la tecnica e la motivazione per dargli la dignità e la rispettabilità dell’attività sportiva.
Lo sport è adrenalina, cioè tensione, energia, competizione, nella boxe tutti questi concetti sono alla luce del sole e portati all’estremo.
Il boxeure diventa così simbolo di virilità, inteso come forza e determinazione, attributi anche della boxeuse, donna dinamica e energica, e i conflitti messi in scena nella boxe moderna rielaborano anche i dualismi fondamentali presenti già nei primi documenti scritti: muscoli opposti a cervello, arroganza opposta a modestia, giovinezza opposta a esperienza. In termini letterari e artistici, lo scontro e spesso tra voci e stili diversi. Nel Protagora, Platone arriva addirittura a paragonare mosse e contromosse del dibattito socratico a un incontro di boxe.

Sembra che il pugilato sia sempre esistito. La prima testimonianza di questo sport risale ai rilievi su pietra della Mesopotamia della fine del IV millennio a.C. Siamo quasi certi che, da allora, non ci sia stato periodo storico in cui giovani uomini, e a volte donne, non abbiano rivolto i propri pugni, nudi o protetti da guantoni, gli uni contro gli altri. Attraverso tutta la storia, vasai, pittori, poeti, romanzieri, vignettisti, autori di canzoni,  fotografi e registi hanno documentato e attribuito un significato a questo violento e sanguinoso confronto. <<Per qualche motivo>>, osservo il giornalista sportivo Gary Wills, <<la gente non vuole che i pugili siano semplicemente pugili>>.

Coraggio e onore, rituale e spettacolo, bellezza e grottesco, sono concetti ancestrali legati alla nascita del pugilato, e ancora oggi molto attuali.

Quando si scrive di boxe si finisce spesso per essere nostalgici ed evocare un’eta dorata da molto tempo perduta. Oggi, il periodo che piu amiamo ricordare è quello della fine degli anni Sessanta e dei primi anni Settanta, l’epoca dominata da Muhammad Ali. Non molto tempo prima, pero, molti erano certi che fossero gli anni Trenta e Quaranta a rappresentare la vetta dell’eccellenza e imputavano all’avvento delle trasmissioni televisive sportive la fine del <<ciclo eroico>>. Se torniamo ancora più indietro, i commentatori di inizio XX secolo consideravano gli anni della Reggenza come il periodo in cui il pugilato aveva raggiunto uno splendore mai più eguagliato, mentre per gli scrittori dell’epoca della Reggenza la vera gloria e il vero valore andavano ricercati nelle prime manifestazioni di questo sport nella Grecia classica. Nel III secolo d.C., Filostrato, dal canto suo, guardava indietro ai bei tempi andati, e così via.

Nel 1830 si poteva dire conclusa l’epoca d’oro della boxe inglese. Malgrado ciò, lo sport continuò a influenzare profondamente l’immaginario popolare per tutto il XIX secolo. Poi fu il tempo dell’ascesa del pugilato professionistico della fin de siecle, le donne (la cui partecipazione era ben accetta nel XVIII secolo) fanno a quel tempo ritorno nelle arene come spettatrici. La boxe è legata all’integrazione dei giovani immigrati ebrei negli Stati Uniti ed è stato il mezzo  con cui i pugili americani di colore hanno lottato contro la segregazione razziale tipica della prima parte del XX secolo. In questo contesto si collocano la carriera e l’enorme impatto culturale di Jack Johnson, primo tra i grandi pesi massimi di colore del XX secolo. Suo contemporaneo e figura in qualche modo speculare è un altro dei grandi miti dei primi del secolo scorso: Jack Dempsey. Entrambi icone della “febbre sportiva” degli anni Venti, che a sua volta fa da sfondo alla diffusione delle diverse correnti moderniste, tra cui il futurismo italiano,  per le quali la metafora pugilistica è stata una rilevante fonte d’ispirazione.

Giungiamo quindi alla metà del secolo scorso, con la boxe erta ad emblema della lotta tra corruzione e resistenza; qui entra in scena Joe Louis detto “Brown Bomber”, primo afroamericano a guadagnare lo status di eroe nazionale diventando punto di riferimento del sentimento anti-nazista durante la seconda guerra mondiale, la sua figura spicca come onesta e laboriosa in un periodo in cui il mondo del pugilato era dominato dal gioco d’azzardo .

Segue nella nostra breve storia il pugile che ha conraddistinto l’era dell’avvento dei mass media: Muhammad Ali. La sua storia, già leggenda, è tutt’uno con  il sogno del Potere nero e di nuove speranze bianche di riscatto.

Giungiamo infine ai giorni nostri, l’epoca controversa di Mike Tyson con l’hip-hop, il feticismo del guantone e il fascino immortale del sudore e della palestra.
Il boxeur come bello e dannato e la boxeuse come donna forte e dinamica sono attualmente i modelli principe dell’immaginario modaiolo. Eppure la boxe non se la passa benissimo per quel che riguarda la presenza sul mainstream, e il mondo del pugilato appare quantomai frammentato. Oggi non esistono nè un’unica federazione, nè tantomeno un titolo mondiale accettato da tutte le federazioni. Gli introiti sono miseri, ma in compenso la boxe è praticata da tanti a livello dilettantistico, esistono molti “fight club” in cui borgatari e colletti bianchi si scazzottano per diletto.

STORIA DELLA BOXE, dall’antica grecia a Mike Tyson, è un ricchissimo saggio edito da ODOYA, in cui Kasia Boddy traccia un dettagliato ritratto di questa disciplina antica e affascinante, nel quale si intravedono le dicotomie a cui è sempre stata abbinata, scontro tra bianchi e neri, tra religioni, assonanza con l’eterno scontro tra bene e male. Spesso utilizzata come scenario per romanzi, novelle e film (Tatanka è solo l’ultimo esempio), la boxe fu praticata da scrittori del calibro di Camus e Hemingway.
Non manca un approfondito riferimento agli aspetti agonistici, l’evolversi delle tecniche, l’introduzionedelle regole di Queensberry nel 1860 e la loro evoluzione in epoca vittoriana. L’appendice, curata da Rino Tommasi, riporta una meticolosa e dettagliata scheda di tutti gli incontri più importanti degli ultimi decenni e schede che illustrano i grandi campioni. Un quadro completo che può sedurre l’appassionato
di lungo corso come il neofita.

Kasia Boddy è docente presso il dipartimento di Inglese allo University College di Londra. I suoi campi di ricerca riguardano la fiction americana del XX secolo,
con un focus particolare su quella contemporanea, le interviste letterarie e la cinematografia. Ultimamente ha seguito un progetto sulla storia del grande romanzo americano.
Ha inoltre collaborato a diverse antologie di short fiction e, nel 2010, ha pubblicato The American Short Story Since 1950 (Edinburgh University Press), che tratta i più importanti scrittori del periodo e il loro contesto.

 

 

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